Latte

Il latte è un liquido bianco secreto dalla ghiandola mammaria dalle femmine dei mammiferi, che si caratterizzano come distinta classe zoologica anche per questa fondamentale particolarità. Il suo scopo è dare nutrimento ai cuccioli durante le prime fasi della loro vita.

Le femmine dei mammiferi, compreso l’uomo, sono provviste di ghiandole mammarie che servono per produrre il latte con il quale si alimenteranno i cuccioli appena nati. Nei mammiferi superiori queste ghiandole sono organizzate a formare la mammella. A seguito del parto, dunque, il corpo della genitrice distribuirà col latte riserve di nutrimento accumulate in gestazione per coprire il periodo di sviluppo della capacità edule propria del piccolo.

Il piccolo di mammifero ha in genere un istinto prevalentemente ormonal-olfattivo, che lo indirizza al capezzolo, se presente nella specie, dove potrà suggere il prezioso alimento.

Il processo fisiologico

Lattazione

Il primo liquido prodotto dalle mammelle, dopo ciascun parto, è detto colostro, una soluzione simile al siero plasmatico contenente in diversa misura a seconda della posizione tassonomica dell’animale, anticorpi (immunoglobuline A che vanno a sostituire IgG e IgM nel corso dell’evento), linfociti e altre cellule modulatrici della risposta immunitaria, prostaglandine e altri componenti lipidici, zuccheri, vitamine principalmente della frazione liposolubile, aminoacidi e ioni. Principalmente utile al trasferimento della risposta immunitaria al neonato, all’induzione della peristalsi intestinale e all’espulsione del meconio.Dopo un certo periodo dal parto, proporzionale nella maggior parte dei mammiferi, il colostro è sostituito dal latte vero e proprio, successivamente alla montata lattea. Esso ha le proprietà nutritive necessarie allo sviluppo del piccolo, ma ridotte funzioni a livello immunitario, data la capacità dell’apparato digerente in via di sviluppo, di digerire le immunoglobuline (ormai prevalentemente IgA) presenti. La resistenza batterica del latte stesso viene affidata al lisozima . La funzione immunitaria è basilare nelle specie a placenta di tipo sindesmocoriale, impermeabile al trasferimento anticorpale madre-figlio, e varia considerevolmente nell’ambito delle famiglie della classe. Dopo la mungitura, per azione residua delle citate sostanze, per qualche ora (3-4) si registra una certa azione batteriostatica (non battericida), che poi va scemando rapidamente fino a scomparire.

Allattamento
La capacità di suzione del neonato è innata. Nell’uomo questa capacità, presente come riflesso immediatamente dopo il parto, viene persa a circa 4 mesi di vita. I meccanismi di suzione adeguata (corretto attaccamento, allattamento a richiesta e rispetto dei tempi della diade madre-neonato) contribuiscono alla preparazione del seno alla montata lattea. L’allattamento, che di solito tende a ridursi gradualmente in fase di svezzamento, eccezionalmente, in alcuni ambiti culturali può durare fino a 7 anni. In genere, dopo il 6º mese compiuto può avvenire lo svezzamento del piccolo. Nell’uomo, un lungo periodo di allattamento al seno ha molti vantaggi sia nutrizionali che immunitari[senza fonte].

La capacità produttiva delle mammelle è diversa da esemplare a esemplare di ciascuna specie, ma può esserne opportunamente aumentata la sua estensione temporale. Negli animali da reddito ciò ottimizza le “prestazioni” dei capi da latte, nella donna ciò dà origine al baliaggio, cioè l’attività della balia, che fornisce latte a piccoli non suoi con una produzione pressappoco ininterrotta nel corso dell’età fertile.

Composizione del latte
A seconda della specie animale, il latte ha diverse componenti e varia considerevolmente, in particolare nella percentuale di grassi, altissima ad esempio nei mammiferi marini in genere, dove nelle foche e nei cetacei si raggiungono valori superiori al 50%. Anche artiodattili di climi freddi, come yak, alci e renne, producono comunque latte di elevatissimo potere calorico.
L’acqua è in tutti i casi il componente principale.
I grassi, principalmente saturi, sono la principale fonte energetica nel latte, generalmente sotto forma di fosfolipidi, steroli e principalmente esteri gliceridi di acidi grassi a catena corta e lunga come
tra i saturi:
Acido butirrico Butanoico C4:0
Acido caprinico Esanoico C6:0
Acido caprilico Ottanoico C8:0
Acido caprico Decanoico C10:0
Acido laurico Dodecanoico C12:0
Acido miristico Tetradecanoico C14:0
Acido palmitico Esadecanoico C16:0
Acido stearico Ottadecanoico C18:0
e tra gli insaturi
Acido caproleico cis-9:-decanoico C10:1
Acido miristoleico cis-9-tetradecenoico C14:1 ω5
Acido palmitoleico cis-6-esadecenoico C16:1 ω7
Acido petroselinico cis-6-ottadecenoico C18:1 ω6
Acido oleico cis-9-ottadecenoico C18:1 ω9
Acido elaidinico trans-9-ottadecenoico C18: ω9
Acido vaccenico trans-11-ottadecenoico C18:1 ω11
Acido linoleico cis,cis-9,12-octadecadienoico C18:2
I principali composti rappresentati sono trigliceridi (esteri del glicerolo con tre molecole di acidi grassi), con prevalenza degli esteri palmitico, oleico, stearico e miristico in molte specie. La variabilità della composizione è comunque interspecifica, intraspecifica, e vi sono differenze anche per stadio di lattazione e stagione, nonché legate al tipo di alimentazione delle vacche da latte.
I glucidi presenti, in genere seconda fonte energetica del latte, sono costituiti in tutte le specie animali, per la quasi totalità dallo zucchero (disaccaride) lattosio, il composto osmoticamente più attivo dell’alimento, con minime percentuali di glucosio, che forma un forte legame con la molecola del latte, il quale conferisce ad essi la caratteristica di non essere scindibili neanche tramite evaporazione. Sono presenti in minore quantità altri glucidi: glucosammina, N-acetilglucosammina, galattosammina, N-acetilgalattosammina, e acido sialico in genere coniugati a proteine (glicoproteine), come la k-caseina, differente da quelle calcio sensibili (αs1, αs2, e β) per la sua solubilità su una vasta gamma di concentrazioni di Ca++ e il suo basso contenuto di fosforo.
Le proteine sono invece per i due terzi rappresentate dalla famiglia delle fosfoproteine denominate generalmente caseina. Le proteine seriche o sieroproteine, separabili dalla caseina quando si coagula il latte, rappresentano la frazione non sedimentabile per centrifugazione, precipitazione presamica (con l’aggiunta di caglio) o acida e rappresentano la maggior parte delle proteine non caseiniche nel latte. Sono di elevatissimo valore nutrizionale e biologico, carrier di molti nutrienti ma spesso chimicamente delicate, e in vario grado termolabili. Sono sintetizzate nella mammella la beta-lattoglobulina, l’alfa-lattoalbumina e la lattoferrina, sono di origine extramammaria le immunoglobuline, la sieroalbumina e l’albumina serica ematica. Vi è inoltre una larga popolazione di proteine ad azione enzimatica, come alcune proteasi, ossidasi e perossidasi (una su tutte, l’eponima lattoperossidasi), catalasi, diverse transaminasi, lipasi, fosfatasi alcalina, lisozima, ed altre in proporzioni variabili.
Sostanze minerali, in forma solubile ed insolubile.
Vitamine idro e liposolubili.
Sostanze “aromatiche” (non in senso chimico ma altri composti, volatili e non, responsabili di gusto e profumo).
Cellule somatiche, cellule di sfaldamento del tessuto della mammella, che aumentano in caso di stress o di mastite.
Batteri Flora saprofita tipica della stalla, anche lattici.

La presenza eventuale di patogeni, sempre possibile nel latte crudo, con incidenza media casuale nel tempo intorno al 20% delle mungiture, è legata allo stato di salute dell’animale ed a carenze igieniche, anche non apparenti, delle operazioni e dell’ambiente di mungitura. Il rischio è comunque sempre presente, ragion per cui è universalmente raccomandato dagli Organi Sanitari un adeguato riscaldamento (bollitura) prima del consumo.

Il latte da specie d’allevamento
L’introduzione del latte extraspecie nell’alimentazione umana è un fatto cronologicamente piuttosto recente. Dalle origini della nostra specie, datata a circa 200 000 anni fa, la capacità di digerire, da adulti, il lattosio contenuto nel latte è da riferirsi a una mutazione genetica occorsa nell’uomo in un periodo non posteriore agli ultimi 7 000 anni. Detta mutazione concerne la sintesi e la persistenza in età adulta dell’enzima lattasi, indispensabile per la digestione (idrolisi) del disaccaride in zuccheri semplici e quindi per l’utilizzo dello zucchero del latte o lattosio da parte del nostro organismo. La distribuzione tra la popolazione umana di questa mutazione non è omogenea ma varia considerevolmente per individuo ed etnia.

La rivoluzione negli usi e nella cultura del neolitico ha poi favorito la selezione naturale umana, amplificando la presenza di individui così mutati nelle civiltà a cultura dedita all’allevamento e alla pastorizia, prima in vicino e medio oriente e successivamente nel resto di Europa e Africa, con prevalenza del nord.

La produzione e commercializzazione attuale del latte per scopi alimentari umani si avvale dello sfruttamento di animali gregari come per esempio la vacca, la bufala, la pecora, la capra, l’asina. Quando si parla di “latte”, in Italia per legge si intende quello vaccino, mentre la specificazione risulta obbligatoria per le altre produzioni (ad esempio latte caprino, latte di asina, ecc. ecc.).
La produzione e commercializzazione attuale del latte per scopi alimentari umani si avvale dello sfruttamento di animali gregari come per esempio la vacca, la bufala, la pecora, la capra, l’asina. Quando si parla di “latte”, in Italia per legge si intende quello vaccino, mentre la specificazione risulta obbligatoria per le altre produzioni (ad esempio latte caprino, latte di asina, ecc. ecc.).Composizione tipo di latte da specie d’allevamento
Latte di … % acqua % proteine % lattosio % grassi % sali Valore energetico
vacca 87,47 3,51 4,92 3,68 0,74 729 kcal/kg
pecora 82,70 6,10 4,60 5,80 0,80 980 kcal/kg
capra 85,50 4,00 5,00 4,80 0,70 790 kcal/kg

Nel corso del XX secolo si è assistito ad un enorme progresso della zootecnica e dell’industria di trasformazione, centrato sulla qualità e sulla digeribilità del prodotto.

Questi tipi di latte di origine animale sono chiamati a sostituire quello materno dopo lo svezzamento. Nelle società occidentali e medio orientali, che storicamente o culturalmente hanno ereditato usi e conoscenze di secoli di allevamento, con il metodo più efficiente di trasformare i prati incolti del loro ambiente in sostentamento, il latte ed i suoi derivati occupano una posizione importante. Nella tradizione culturale italiana, che eredita tutto il peculiare universo della civiltà contadina, il latte ha una sua particolare posizione che attiene agli usi, al lavoro ed all’economia delle popolazioni che appunto provengono da una strutturazione sociale agro-pastorale.

In questi ambiti il latte è, quanto il pane e più caratteristicamente di questo, e in assenza di intolleranze, alimento utile, per tutte le età, dall’infante all’anziano che per vari motivi si trova privo di alternative per alimentarsi, passando per tutte le fasi nelle quali se ne assumono gli importantissimi contenuti di calcio e proteine, vitamine, zuccheri e grassi.

In culture non dedite all’allevamento, invece, l’importanza del latte è marginale o assente, e le percentuali di intolleranza al latte sono comprese tra l’80% e il 100%.

Nel II secolo a.C. inizia in Cina la produzione del latte di soia, in alternativa al latte di specie animali d’allevamento. Ben più recente è invece la produzione di latte artificiale.

Intolleranza e allergia al latte
Le caseine oltre ad essere la classe proteica più rappresentata nel latte rappresentano, insieme alla β-lattoglobulina, i principali antigeni, causa di allergie, più frequente nei primi anni di vita ma che spesso tendono poi a scomparire con l’età, anche se talvolta causa di gravi shock anafilattici. L’ubiquità di questi composti negli alimenti tende a complicare il controllo della patologia.

La stragrande maggioranza delle intolleranze al latte, e non delle vere allergie, è invece da imputarsi ad un’intolleranza al lattosio, spesso sopravveniente progressivamente in età adulta, o a seguito di stati patologici. Nell’ambito del precedentemente descritto processo d’idrolisi del lattosio interviene un deficit di produzione da parte delle cellule intestinali del duodeno dell’enzima lattasi. La permanenza del lattosio indigerito ne determina la fermentazione da parte della flora intestinale con produzione di gas e acidi organici, e richiamo nel colon per osmosi di acqua con conseguente flatulenza, meteorismo, crampi addominali, diarrea e in assenza di provvedimenti, dimagrimento.

Infine esiste una limitata casistica di intolleranza alle proteine del latte, non di tipo allergico, nota con l’acronimo inglese MPI.

Latte e osteoporosi

Nonostante le opinioni diffuse anche fra taluni medici e nutrizionisti, e al di là delle divulgazione operate dalle pubblicità, il consumo di latte non previene l’osteoporosi, né aiuta i soggetti affetti da questa patologia, inclusi quelli più a rischio per motivi fisiologici, come le donne in menopausa. Infatti, come afferma l’Harvard Nurses’ Health Study , che ha seguito clinicamente oltre 75.000 donne per dodici anni, ha mostrato che l’aumentato consumo di latte non avrebbe alcun effetto protettivo sul rischio di fratture. Anzi, l’aumentata introduzione di calcio attraverso latte e latticini era associato con un rischio di fratture più elevato. Le proteine contenute nel latte hanno infatti un alto grado di acidità, e ciò significa che, per quanto il latte possa fornire calcio e vitamina D, provocherà anche delle reazioni fisiologiche volte a tamponare l’acidità provocata dall’assorbimento delle suddette proteine con conseguente impoverimento dei depositi di calcio contenuti nelle ossa. Uno Studio Australiano  è pervenuto al medesimo risultato. Inoltre altri Studi  non hanno evidenziato alcun effetto protettivo sull’osso da parte del Calcio proveniente dai derivati del latte. Per ridurre il rischio di osteoporosi, va ridotta l’assunzione con la dieta di Sodio e di Proteine animali , aumentato il consumo di frutta e verdura , l’attività fisica , e va assicurato un adeguato introito di Calcio da fonti vegetali, come ad esempio la verdura a foglia verde ed i fagioli, come pure prodotti addizionati di Calcio tipo i cereali per la colazione ed i succhi.

Gusto

Il latte non ha gusto costante, perché il suo sapore dipende fondamentalmente dall’alimentazione dell’animale che lo produce. Questo è il motivo della distinzione qualitativamente avvertibile da chiunque sorseggi latte d’alpeggio e di animali a pascolo libero. Oggigiorno le stalle moderne per produzione industriale attuano un’alimentazione costante tutto l’anno, col cosiddetto unifeed o tecnica del piatto unico, mangime miscelato e contenente tutti i nutrienti, non tutti necessariamente da foraggi, ma a seconda dei periodi dell’ anno e della legislazione vigente, che ne regolamenta vietandone o permettendone l’uso, additivati di fibre, derivati industriali che residuano dall’estrazione della frazione oleosa per via meccanica o mediante solventi di semi (farine di estrazione e panelli), grassi di diversa origine, per lo più oli di semi, farine di pesce, sangue ed altro. A tutto il 2008 in Europa è temporaneamente vietato, per la questione relativa all’eradicazione delle encefalopatie spongiformi trasmissibili, l’uso di farine di carne e di ossa provenienti da mammiferi.

Il latte crudo
Il “latte crudo” è stato, nelle popolazioni occidentali e medio orientali, un alimento quotidiano tradizionale. In Italia, come in tutti i paesi del mondo, dai primi anni del ‘900, per importanti problemi sanitari legati alla probabile presenza di germi patogeni derivanti dalla zona ed arnesi di mungitura, fu imposta la pastorizzazione del latte (dal premio Nobel Pasteur). Questo prodotto pastorizzato in Italia viene definito “latte fresco” secondo la legge n. 169/89.

Oggi è permessa nuovamente la vendita di “latte crudo” entro una zona definita rispetto alla localizzazione del produttore, distinto dal “latte fresco” pastorizzato, solo se l’allevamento di provenienza ha condizioni igienico sanitarie adeguate; prima il latte poteva essere venduto crudo solo alla stalla; per questo stanno diffondendosi i distributori di latte crudo gestiti direttamente dagli allevatori, le cui mandrie sono sottoposte a definiti controlli igienico-sanitari 2 volte al mese.È stato accertato, come peraltro era già noto da sempre, un rischio di presenza di patogeni in circa il 15-20 % dei casi, ed è stato definito dal Ministero della Salute l’obbligo di consigliare in modo evidente al consumatore la “bollitura casalinga prima del consumo”. I produttori di latte che vendono latte crudo tramite lattodistributori sono mappati sul territorio da associazioni e consorzi.
Sintetizzando le differenze tra latte crudo e “fresco pastorizzato” che comunque non devono presentare patogeni al consumo:
Il latte fresco pastorizzato ha una bassissima carica batterica banale e l’assoluta garanzia di assenza di patogeni verificata ogni giorno e ad ogni ciclo produttivo. Le sieroproteine sono per il 20% circa delle proteine totali . Alcuni enzimi come la fosfatasi sono in ogni caso inattivati, il che serve anche come indice (facile da rilevare) dell’avvenuta pastorizzazione e quindi della inattivazione dei germi patogeni. Le vitamine termolabili (C, B), pur presenti in quantità non significativa per il fabbisogno umano (il latte non è un alimento importante per l’apporto vitaminico e negli USA vige l’obbligo di integrazione per il latte di consumo, almeno con Vit. D) possono in certo grado essere degradate (ca. 10%) dal trattamento di pastorizzazione. Il latte è omogeneizzato, quindi i grassi sono più facilmente dispersi e digeribili. La distanza temporale dal momento della mungitura deve essere non superiore alle 48 ore, Premessa:

“Viene definito “latte fresco pastorizzato” il latte che perviene crudo allo stabilimento di confezionamento e che, ivi sottoposto a un solo trattamento termico entro 48 ore dalla mungitura, presenti al consumo definite caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche che il produttore deve garantire ad ogni lotto” .Le condizioni igieniche di trattamento fino alla vendita devono soddisfare i criteri HACCP stabiliti dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) relativi alla garanzia di gestione dei rischi sanitari. Le confezioni sono in genere da 1 litro o 1/2 litro. Ha un prezzo al consumo mediamente più elevato, legato al processo di pastorizzazione, di confezionamento e di trasporto da distanze maggiori alla centrale. Si può peraltro reperire ad un prezzo minimo più basso.
Il latte crudo non trattato termicamente e prodotto nel rispetto delle norme igieniche alla stalla presenta una flora batterica in ragione delle condizioni igieniche di mungitura e della gestione del raffreddamento nonché dello stato igienico degli impianti e della loro gestione. È quindi uno specchio della flora batterica dell’allevamento e delle pratiche di mungitura. Enzimi come la fosfatasi, lisozima e proteine attive termolabili non sono denaturate, e i sali inorganici di calcio e fosforo sono in forma leggermente più solubile. Altre proteine come la caseina risultano leggermente più digeribili, mentre i grassi meno finemente dispersi lo sono meno. Le vitamine termolabili, pur in quantità non molto importante, salvo la D che è scarsa, sono presenti in toto. Il latte è solamente filtrato con eliminazione di impurità grossolane. Viene munto in giornata. Quello venduto direttamente al consumatore ha una “filiera produttiva corta” in quanto non passa dalla centrale per i trattamenti di risanamento. La quantità acquistabile non è vincolata dalla confezione, ma regolata dalle norme metrologiche relative al sistema di distribuzione: in pratica equiparata al prodotto pastorizzato, ha un prezzo medio più basso in ragione dell’assenza dei trattamenti di risanamento presso la centrale e dei relativi costi di approvvigionamento e distribuzione.

I due prodotti si sono trovati ad essere contrapposti in quanto emergono interessi contrastanti a livello economico tra industria del latte e piccoli allevatori.

Igiene alimentare e sofisticazione alimentare

Contaminazioni microbiologiche

Il latte, per la sua composizione (presenza di nutrienti, in particolare proteine, alto contenuto di acqua), è un substrato ideale per la crescita dei microrganismi. Inoltre essendo un prodotto di origine animale, può facilmente albergare agenti infettivi ed essere quindi veicolo di malattie trasmissibili dagli animali all’uomo (zoonosi). Tra le zoonosi più rilevanti ci sono brucellosi, listeriosi, salmonellosi, e tubercolosi.

Contaminazioni e sofisticazioni chimiche
Il latte, essendo un’emulsione di grassi in una soluzione acquosa, può essere contaminato da numerose sostanze sia lipo- che idro- solubili.

Tali contaminazioni possono avere origine ambientale (ad esempio residui di Pesticidi, diossina, tossine di origine fungina che l’animale ingerisce tramite l’alimentazione), oppure derivare da contaminazioni durante il processo di trasformazione e conservazione (ad esempio contaminazione da Itx derivante dei processi di stampa delle confezioni, ora vietato) oppure essere il risultato di sofisticazioni (come avvenuto nel caso dell’aggiunta fraudolenta alla produzione o durante i trasporti, di sostanze azotate come (urea) melammina in Cina, atta ad elevare apparentemente il contenuto proteico del latte), o semplicemente sale, atto a mascherare l’aggiunta di acqua.

Trattamenti industriali del latte

Il latte crudo può essere sottoposto ad alcuni trattamenti preliminari prima delle procedure di sterilizzazione.

Centrifugazione e scrematura
Con la centrifugazione le particelle più pesanti (materiale grossolano e parte delle cellule somatiche) sedimentano sul fondo e vengono allontanate, mentre le parti più leggere vengono separate (scrematura) e poi rimiscelate al latte per ottenere una determinata percentuale di grasso.

La scrematura si effettua ad una temperatura di circa 55 °C , ottenendo la completa separazione della parte grassa (la panna). Più è lunga e intensa la centrifugazione, migliore è la separazione. Il latte magro che si ottiene ha un residuo grasso dello 0,1-0,5%. Per rimiscelazione in linea della panna si ottengono i titoli di grasso desiderati: ad esempio 1,5 -1,8% per il latte parzialmente scremato e > 3,5% per il latte intero da destinare alla produzione di latte alimentare.

È definito come “latte” il latte che non ha subito trattamenti di scrematura né trattamenti termici.

Omogeneizzazione

Durante il processo di pastorizzazione o sterilizzazione, il latte può essere omogeneizzato. L’omogenizzazione è un procedimento quasi universalmente utilizzato dalle centrali di trattamento in particolare per evitare l’affioramento del grasso del latte alimentare. Il latte viene fatto passare sotto alta pressione attraverso una particolare valvola (omogeneizzatrice) in grado di ridurre tutti i globuli di grasso in particelle di diametro quasi uniforme 20 volte minore che nel latte crudo, costituendo così un’emulsione stabile, ed evitando problemi di affioramento nel tempo di conservazione. Il prodotto diventa più facilmente digeribile per il consumatore, al quale è garantita uguale percentuale di grasso nel periodo di consumo.

Raffreddamento

Il primo trattamento avviene nella sala mungitura. Qui il latte, che esce dalle mammelle delle mucche con una temperatura di 37 °C circa, viene convogliato in tank latte chiuse dove è raffreddato entro tempi fra 20 e 460 minuti, e conservato a 4-6 °C. Con questa temperatura i batteri che hanno inquinato il latte dall’uscita della mammella in poi, si riproducono più lentamente che d’ordinario (37 °C della vacca e c.a 20-25 °C dell’ambiente). Poi il latte viene trasferito sulle autobotti isoterme(coibentate), che lo trasportano ai caseifici per la trasformazione in prodotto finito.

Pastorizzazione
Grazie alle scoperte del chimico francese Louis Pasteur, riguardanti l’uccisione delle brucelle col calore, si suole oggi pastorizzare ovvero riscaldare il latte a temperature capaci di uccidere i microbi patogeni e gran parte della microflora saprofita (banale). Il trattamento riduce notevolmente la carica batterica, causando minime variazioni organolettiche e nutrizionali, compensate largamente dalle condizioni di sicurezza igienica.

Tutti i trattamenti si concludono con il raffreddamento a 4 °C: a questa temperatura il latte fresco si conserva per 6 giorni, attraverso la catena del freddo (camion frigoriferi per la distribuzione in città, banco frigorifero del lattaio, e finalmente il frigorifero di casa).

Pastorizzazione bassa

Questo trattamento, ormai desueto, si applica oggi solo in presenza di latte a minimo rischio di contaminazione, che viene portato a 63 °C per un periodo di 30 minuti. L’evoluzione genetica di taluni batteri però rende comunque assai poco efficace il trattamento per usi di alimentazione diretta.

Pastorizzazione rapida HTST (High Temperature Short Time)

Il latte, a seguito di preriscaldamento, è portato velocemente ad una temperatura minima di 72 °C per almeno 15 secondi. Tale pastorizzazione è resa possibile tramite una riduzione in strato sottile del latte che viene fatto passare tra piastre riscaldate (stassanizzazione). La stassanizzazione sfrutta altresì il fenomeno che vede le cellule batteriche attratte verso la superficie della piastra di scambio termico: ciò provoca un moto turbolento del liquido che garantisce uno scambio termico efficiente ed uniforme. Questa temperatura uccide circa il 96% dei batteri (di primaria importanza è l’abbattimento della carica batterica rappresentata dalle forme vegetative dei micobatteri della tubercolosi e batteri della brucellosi, oltre ad altri patogeni importanti), mentre resta un 5% costituito dalle spore, cioè da batteri che si sono trasformati in una forma molto resistente al calore. Per rallentare la crescita dei batteri rimasti, il latte viene subito raffreddato a 4 °C. Il latte pastorizzato può essere conservato a 4 °C per sei giorni. Il latte che ha subito tale trattamento può definirsi “fresco” e deve risultare “fosfatasi negativo” e “perossidasi positivo”, a dimostrazione oggettiva che il trattamento termico è stato fatto ad una temperatura non inferiore a 72 °C e non superiore a 78 °C per 15 secondi (sopra il livello di distruzione dei patogeni e non surriscaldato).
Trattamento UHT (Ultra High Temperature)

È una particolare tecnica di sterilizzazione che consiste nel trattare il latte omogeneizzato e preriscaldato ad almeno 135 °C attraverso l’impiego di vapore acqueo surriscaldato per non meno di un secondo. Si parla di UHT a sistema “indiretto” quando la sterilizzazione del latte avviene tramite scambiatori di calore (piastre o tubi), mentre viene detto UHT “diretto” (Uperizzazione TM°) quando la sterilizzazione del latte avviene in contatto diretto con il fluido riscaldante cioè il vapore acqueo, che viene rievaporato nella successiva fase di raffreddamento flash sotto vuoto. In genere il trattamento diretto (c.a 140°c x 2-4″) dà luogo ad un prodotto organoletticamente migliore del trattamento indiretto per un minore “effetto termico”. Successivamente si raffredda il latte a 15-20 °C e si procede entro impanti sterili chiusi, in flusso continuo, al confezionamento asettico del latte in contenitori sterilizzati in linea (brik, bottiglie in HDPE o PET) che vengono chiusi ermeticamente. La condizione di ermeticità del contenitore è condizione essenziale della lunga conservazione.

Anche il trattamento UHT non garantisce la distruzione delle spore più resistenti: la sterilità commerciale viene definita come “assenza di microorganismi capaci di riprodursi e recare danni al prodotto nelle usuali condizioni di conservazione a temperatura ambiente” (stabilità microbiologica). Il latte UHT è considerato a “lunga conservazione” e si può conservare per circa 3-6 mesi a temperatura ambiente. Le confezioni dei vari tipi di latte sterilizzato UHT devono riportare il termine minimo di conservazione “da consumarsi preferibilmente entro…” (giorno, mese, anno). Ciò significa che anche dopo la data di scadenza, per un tempo ragionevole, il prodotto possa essere consumato (riguarda più un limite organolettico che sanitario)

Sterilizzazione

È il trattamento termico più energico, che assicura la completa eliminazione di tutti i batteri, anche delle spore. Il latte così sterilizzato ha una lunga conservazione a temperatura ambiente, anche oltre i 6 mesi. Il processo è costituito da un trattamento flash, seguito da riempimento e sigillazione del contenitore (vetro-lattina) con susseguente sterilizzazione in autoclave (continua o discontinua) del contenitore chiuso. Tuttavia, una volta che si è aperto un contenitore di latte sterilizzato (al pari dell’UHT) è necessario tenerlo in frigorifero e consumarlo entro pochi giorni; infatti potrebbe venire a contatto con i microrganismi presenti nell’ambiente, i quali all’interno dell’alimento non troverebbero alcuna competizione con altri batteri e sarebbero liberi di proliferare.

Il latte sterilizzato è rilevantemente più sicuro del latte UHT dal punto di vista batteriologico, ma ha subito un danno organolettico oggi non più accettato nella maggioranza dei casi, rispetto al latte UHT. Tale latte ha avuto il merito di rendere disponibile l’assunzione di un alimento così importante a fasce di popolazione vaste, allora poco raggiungibili dal “latte fresco”. Dal punto di vista commerciale ha ormai una scarsa rilevanza poiché, oltre ai contenuti nutrizionali, anche il sapore risulta piuttosto alterato: è quindi principalmente destinato all’esportazione in paesi con condizioni sociali e climatiche difficili.

Microfiltrazione

La microfiltrazione del latte è un trattamento puramente meccanico , con filtrazione molto sottile su membrane filtranti ceramiche a maglie di 1-2,5 microns: “colino” molto sottile in materiale inerte, in grado di separare fisicamente i microbi dal latte viene praticata sulla sola frazione magra del latte senza intereagire con le componenti nutritive in esso contenute.

Si separa la frazione lipidica del latte con la tradizionale centrifugazione a circa 50 °C. La frazione grassa (lipidica) non può essere sottoposta a microfiltrazione avendo i globuli di grasso dimensioni simili alle maglie della membrana filtrante. Il latte scremato, separato dalla panna, viene microfiltrato su membrana porosa eliminando la quasi totalità della flora microbica che ha inquinato il latte dopo l’uscita della mammella nell’ambiente di mungitura.

LATTE ALIMENTARE MICROFILTRATO : Le due frazioni, panna e latte magro microfiltrato, vengono poi miscelate in flusso continuo in rapporto tale da ottenere il titolo di grasso desiderato. Il latte titolato (intero, parzialmente scremato, scremato), a carica batterica estremamente ridotta, simile al momento di uscita dal capezzolo della mammella, viene pastorizzato a 72-75 °C per 15-20″ secondo il metodo di pastorizzazione classico HTST, che consente l’inattivazione di eventuali specie microbiche patogene residuali.

Si ottiene così un latte con caratteristiche microbiologiche eccellenti che ne consentono la conservazione in regime refrigerato per tempi lunghi, oltre 15 giorni dal trattamento, e con caratteristiche organolettiche ottimali, perfettamente sovrapponibili ad un latte pastorizzato di qualità elevata. (Re. :”Libro bianco sul latte e derivati” edito dall’Istituto Nazionale della Nutrizione, INRAN)

Latte Delattosato

I vari prodotti denominati latti HD, alta digeribilità, e relativi differenti nomi commerciali, sono indicati per chi non possiede l’enzima lattasi o ne è temporaneamente deficiente per problemi intestinali, e non può scindere il lattosio nei costituenti. Il lattosio, zucchero del latte, viene trasformato negli stabilimenti, in due zuccheri semplici che costituiscono il disaccaride: glucosio e galattosio, per azione dell’enzima lattasi. L’intolleranza” al latte (e non vera allergia, che riguarda invece le proteine ed è meno frequente), in genere è nei confronti del lattosio che non scisso nelle sue componenti semplici e quindi non assorbito, per questioni osmotiche richiama liquidi nel canale digerente determinando turbe digestive (flatulenza e scariche).

Altri alimenti chiamati latte

La noce di cocco contiene un liquido bianco comunemente chiamato “latte di cocco”, la cui denominazione corretta è acqua di cocco in quanto il latte di cocco è l’acqua di cocco fatta evaporare in parte e resa più densa.

In Cina venne inventato, nel II secolo a.C., il latte di soia, talvolta chiamato anche “latte vegetale”.

In alcune regioni del mezzogiorno d’Italia è diffusa una bevanda chiamata latte di mandorla. È un prodotto agroalimentare tradizionale della Puglia e della Sicilia. In Sicilia orientale il latte di mandorla viene utilizzato per la produzione di granite, tradizionalmente consumate a colazione nel periodo estivo e in tempi moderni consumato come pasto veloce (granita con brioche) a qualunque ora del giorno.
Latte Art

Per latte art si intendono una serie di tecniche di caffetteria moderne atte a creare disegni e decorazioni sui cappuccini o sui caffè col solo aiuto del latte.

Si possono disegnare cuori foglie spirali e tanto altro ancora.

Questa tecnica professionale è oggetto di concorsi ai quali partecipano tra i migliori baristi del mondo.

Nel mondo e nel tempo potreste vedere un sacco di misteri e cose incredibili non solo nel tempo e anche nello spazio. Io con la mia famiglia e anche senza ho viaggiato nel tempo e nello spazio. Ogni tanto ho visto cose incredibili e ho scoperto che nel mondo le persone con i poteri hanno fatto grandi cose per vivere in pace senza con noi. Noi li abbiamo visti come dei mostri e loro si sono rintanati dentro una dimensione nota come Universing. Io sono Daniel Saintcall e sono uno dei tanti Dominatori di Poteri che è vivo e vegeto e cerca di capire cosa succede nel tempo e nello spazio. Se avete bisogno di aiuto chiedete pure e se invece dovete scrivere qualcosa la potete scrivere qui sotto

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...