L’atomo (dal greco ἄτομος – àtomos -, indivisibile, unione di ἄ – a – [alfa privativo] + τομή – tomé – [divisione], così chiamato perché inizialmente considerato l’unità più piccola ed indivisibile della materia, risalente alla dottrina dei filosofi greci Leucippo, Democrito ed Epicuro, detta teoria dell’atomismo) è la più piccola parte di ogni elemento esistente in natura che ne conserva le caratteristiche chimico-fisiche. Verso la fine dell’Ottocento (con la scoperta dell’elettrone) fu dimostrato che l’atomo era divisibile, essendo a sua volta composto da particelle più piccole (alle quali ci si riferisce con il termine “subatomiche”). L’atomo risulta infatti costituito da neutroni, elettroni e protoni.
La teoria atomica è la teoria sulla natura della materia che afferma che tutta la materia sia costituita da unità elementari chiamati atomi.
La teoria atomica si applica agli stati della materia solido, liquido e gassoso, mentre è difficilmente correlabile allo stato plasmico, in cui elevati valori di pressione e temperatura impediscono la formazione di atomi.
Storia
Il modello atomico oggi riconosciuto è l’ultima tappa di una serie di ipotesi che sono state avanzate nel tempo.
Atomismo
Già dal IV secolo a.C. alcuni filosofi greci (Leucippo, Epicuro e Democrito) e romani (Tito Lucrezio Caro), ipotizzarono che la materia non fosse continua, ma costituita da particelle minuscole e indivisibili, fondando così la “teoria atomica”; questa corrente filosofica fondata da Leucippo venne chiamata “atomismo”. Si supponeva che i diversi “atomi” fossero differenti per forma e dimensioni.
Democrito, nel IV secolo a.C., propose la “teoria atomica”, secondo cui la materia è costituita da minuscole particelle, diverse tra loro, chiamate atomi, la cui unione dà origine a tutte le sostanze conosciute. Queste particelle erano la più piccola entità e non potevano essere ulteriormente divise; per questo erano chiamate atomi (da ὰτωμος, in greco “indivisibile”). In contrasto con questa teoria, Aristotele, nello stesso periodo, nella teoria della continuità della materia, sostenne che una sostanza può essere suddivisa all’infinito in particelle sempre più piccole e uguali tra loro. Queste ipotesi rimasero tali in quanto non suffragate da un approccio scientifico e da metodologie basate sull’osservazione e sull’esperimento.
Il corpuscolarismo è il postulato del XIII secolo dell’alchimista Geber, secondo il quale tutti i corpi fisici posseggono uno strato interno ed esterno di particelle minuscole. La differenza con l’atomismo è che i corpuscoli possono essere divisi. Veniva per questo teorizzato che il Mercurio potesse penetrare nei metalli modificandone la struttura interna. Il corpuscolarismo rimase la teoria dominante per i secoli successivi. Ripresa da Descartes, tale teoria servì anche come base a Isaac Newton per sviluppare la teoria corpuscolare della luce.
Origine del modello scientifico.
Solo all’inizio del XIX secolo (più precisamente nel 1808) John Dalton rielaborò e ripropose la teoria di Democrito fondando la teoria atomica moderna, con la quale diede una spiegazione ai fenomeni chimici, affermando che le sostanze sono formate dai loro componenti secondo rapporti ben precisi fra numeri interi (legge delle proporzioni multiple), ipotizzando quindi che la materia fosse costituita da atomi. Nel corso dei suoi studi, Dalton si avvalse delle conoscenze chimiche che possedeva (la legge della conservazione della massa, formulata da Antoine Lavoisier, e la legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph Louis Proust) e formulò la sua teoria atomica, che espose nel libro A New System of Chemical Philosophy (pubblicato nel 1808). La teoria atomica di Dalton si fondava su cinque punti:
la materia è formata da piccolissime particelle elementari chiamate atomi, che sono indivisibili e indistruttibili;
gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro;
gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro (attraverso reazioni chimiche) in rapporti di numeri interi e generalmente piccoli, dando così origine a composti;
gli atomi non possono essere né creati né distrutti;
gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.
In definitiva questa è la definizione di atomo per Dalton: “Un atomo è la più piccola parte di un elemento che mantiene le caratteristiche fisiche di quell’elemento”.
Questa viene considerata la prima teoria atomica della materia perché per primo Dalton ricavò le sue ipotesi per via empirica.
I primi modelli atomici
Con la scoperta della radioattività naturale, si intuì successivamente che gli atomi non erano particelle indivisibili, bensì erano oggetti composti da parti più piccole. Nel 1902, Joseph John Thomson propose il primo modello fisico dell’atomo[3]: aveva infatti provato un anno prima l’esistenza dell’elettrone. Egli immaginò che un atomo fosse costituito da una sfera fluida di materia caricata positivamente (protoni e neutroni non erano stati ancora scoperti) in cui gli elettroni (negativi) erano immersi (modello a panettone, in inglese plum pudding model), rendendo neutro l’atomo nel suo complesso.
Questo modello fu superato quando furono scoperte da Ernest Rutherford le particelle che formano il nucleo dell’atomo: il protone (dotato di carica positiva) e il neutrone (privo di carica elettrica). Nel 1911 Rutherford fece un esperimento cruciale, con lo scopo di convalidare il modello di Thomson. Egli bombardò un sottilissimo foglio di oro, posto fra una sorgente di particelle alfa e uno schermo. Le particelle, attraversando la lamina, lasciarono una traccia del loro passaggio sullo schermo. L’esperimento portò alla constatazione che i raggi alfa non venivano quasi mai deviati; solo l’1% dei raggi incidenti era deviato considerevolmente dal foglio di oro (alcuni venivano completamente respinti).
Attraverso questo esperimento, Rutherford propose un modello di atomo in cui quasi tutta la massa dell’atomo fosse concentrata in una porzione molto piccola, il nucleo (caricato positivamente) e gli elettroni gli ruotassero attorno così come i pianeti ruotano attorno al Sole (modello planetario). L’atomo era comunque largamente composto da spazio vuoto, e questo spiegava il perché del passaggio della maggior parte delle particelle alfa attraverso la lamina. Il nucleo è così concentrato che gli elettroni gli ruotano attorno a distanze relativamente enormi, aventi un diametro da 10.000 a 100.000 volte maggiore di quello del nucleo. Rutherford intuì che i protoni da soli non bastavano a giustificare tutta la massa del nucleo e formulò l’ipotesi dell’esistenza di altre particelle, che contribuissero a formare l’intera massa del nucleo. Nel modello atomico di Rutherford non compaiono i neutroni, perché queste particelle furono successivamente scoperte da Chadwick nel 1932.
Il modello di Rutherford aveva incontrato una palese contraddizione con le leggi della fisica classica: secondo la teoria elettromagnetica, una carica che subisce una accelerazione emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Per questo motivo, gli elettroni dell’atomo di Rutherford, che si muovono di moto circolare intorno al nucleo, avrebbero dovuto emettere onde elettromagnetiche e quindi, perdendo energia, annichilire nel nucleo stesso (teoria del collasso), cosa che evidentemente non accade. Inoltre un elettrone, nel perdere energia, potrebbe emettere onde elettromagnetiche di qualsiasi lunghezza d’onda, operazione preclusa nella teoria e nella pratica dagli studi sul corpo nero di Max Planck (e successivamente di Albert Einstein). Solo la presenza di livelli di energia quantizzati per quanto riguarda gli stati degli elettroni poteva spiegare i risultati sperimentali: la stabilità degli atomi rientra nelle proprietà spiegabili mediante la meccanica quantistica.
Bohr e la meccanica ondulatoria: l’atomo oggi
Nel 1913 Niels Bohr propose una modifica concettuale al modello di Rutherford. Pur accettandone l’idea di modello planetario, postulò che gli elettroni avessero a disposizione orbite fisse, dette anche “orbite quantizzate”, queste orbite possedevano un’energia quantizzata (ossia un’energia già prestabilita identificata da un numero detto numero quantico principale N) nelle quali gli elettroni non emettevano né assorbivano energia (questa infatti rimaneva costante): in particolare, un elettrone emetteva o assorbiva energia sotto forma di onde elettromagnetiche solo se effettuava una transizione da un’orbita all’altra, e quindi passava ad uno stato a energia minore o maggiore.[6] Ciò nonostante, il modello di Bohr-Sommerfeld si basava ancora su postulati e soprattutto funzionava bene solo per l’idrogeno: tutto ciò, alla luce anche del principio di indeterminazione introdotto da Heisenberg nel 1927, convinse la comunità scientifica che fosse impossibile descrivere esattamente il moto degli elettroni attorno al nucleo, motivo per cui ai modelli deterministici fino ad allora proposti si preferì ricercare un modello probabilistico, che descrivesse con buona approssimazione qualsiasi atomo. Ciò fu reso possibile grazie ai successivi risultati della meccanica ondulatoria. Nel 1932 fu scoperto il neutrone, per cui si pervenne presto ad un modello dell’atomo pressoché completo, in cui al centro vi è il nucleo, composto di protoni (elettricamente positivi) e neutroni (elettricamente neutri) ed attorno ruotano gli elettroni (elettricamente negativi).
Fu abbandonato il concetto di orbita e fu introdotto il concetto di orbitale. Secondo la meccanica quantistica non ha più senso infatti parlare di traiettoria di una particella: da ciò discende che non si può neanche definire con certezza dove un elettrone si trova in un dato momento. Ciò che si poteva conoscere era la probabilità di trovare l’elettrone in un certo punto dello spazio in un dato istante di tempo. Un orbitale quindi non è una traiettoria su cui un elettrone (secondo le idee della fisica classica) poteva muoversi, bensì una porzione di spazio intorno al nucleo definita da una superficie di equiprobabilità, ossia entro la quale c’è il 95% della probabilità che un elettrone vi si trovi. In termini più rigorosi, un orbitale è definito da una particolare funzione d’onda, l’equazione di Schrödinger, in tre variabili, i numeri quantici, ciascuna delle quali è associata rispettivamente all’energia, alla forma e all’orientamento nello spazio dell’orbitale. Fu Erwin Schrödinger (scopritore dell’Equazione di Schrödinger, per cui ha vinto il premio nobel per la fisica nel 1933) a ipotizzare la struttura dell’atomo come costituita da un nucleo centrale carico di energia positiva circondato da una nuvola di elettroni.
Alla luce delle ultime ricerche, sfruttando sofisticate e potenti apparecchiature elettroniche, è stato possibile determinare in modo più completo anche la struttura del nucleo. In particolare si è scoperto che i protoni e i neutroni sono a loro volta formati da particelle più piccole: i quark.
Componenti
L’atomo è composto principalmente da tre tipologie di particelle subatomiche (cioè di dimensioni minori dell’atomo): i protoni, i neutroni e gli elettroni.
In particolare:
i protoni (carichi positivamente) e i neutroni (privi di carica) formano il “nucleo” (carico positivamente); protoni e neutroni sono detti quindi “nucleoni”;
gli elettroni (carichi negativamente) sono presenti nello stesso numero dei protoni e ruotano attorno al nucleo senza seguire un’orbita precisa (l’elettrone si dice quindi “delocalizzato”), rimanendo confinati all’interno dei cosiddetti “gusci elettronici” (o “livelli energetici”).
In proporzione, se il nucleo atomico fosse grande quanto una mela, gli elettroni gli ruoterebbero attorno ad una distanza pari a circa un chilometro; un nucleone ha massa quasi 1800 volte superiore a quella di un elettrone.
La tabella seguente riassume alcune caratteristiche delle tre particelle subatomiche anzidette:[7]Particella Simbolo Carica Massa Note
Elettrone e- -1,6 × 10−19 C 9,1093826 × 10−31 kg (0,51099 891 MeV/C²) Scoperto da Thomson in base alle esperienze sui raggi catodici di William Crookes. Con l’esperimento della goccia d’olio Millikan ne determinò la carica.
Protone p+ 1,6 × 10−19 C 1,6726231 × 10−27 kg (9,3828 × 102 MeV/C²) Scoperto da Ernest Rutherford con l’esperimento dei raggi alfa, la sua esistenza fu ipotizzata già da Eugene Goldstein, lavorando con i raggi catodici.
Neutrone n 0 C 1,674 927 29 × 10−27 kg (9,39565 × 102 MeV/C²) Scoperto da James Chadwick, la sua esistenza fu desunta a partire da contraddizioni studiate prima da Walther Bothe, poi da Irène Joliot-Curie e Frédéric Joliot.
Si definiscono due quantità per identificare ogni atomo:
Numero di massa (A): la somma del numero di neutroni e protoni nel nucleo
Numero atomico (Z): il numero dei protoni nel nucleo, che, allo stato neutro, corrisponde al numero di elettroni esterni ad esso.[8]
Per ricavare il numero dei neutroni si sottrae al numero di massa il numero atomico.
Esiste una grandezza che ne quantifica la massa, definita peso atomico (più correttamente “massa atomica”), espresso nel SI in unità di massa atomica (o uma), dove una unità di massa atomica equivale alla dodicesima parte della massa di un atomo di carbonio-12 (12C). Il numero degli elettroni che ruotano attorno al nucleo è uguale al numero dei protoni nel nucleo: essendo le predette cariche di valore assoluto uguale, un atomo è normalmente elettricamente neutro e pertanto la materia è normalmente elettricamente neutra. Tuttavia esistono atomi che perdono o acquistano elettroni, ad esempio in virtù di una reazione chimica: la specie che ne deriva si chiama ione; gli ioni possono essere quindi di carica positiva o negativa.
Gli atomi aventi lo stesso numero atomico hanno le stesse proprietà chimiche: si è dunque convenuto a definirli appartenenti allo stesso elemento.
Due atomi possono differire anche nell’avere numero atomico uguale ma diverso numero di massa: simili atomi sono detti isotopi ed hanno medesime proprietà chimiche. Ad esempio l’atomo di idrogeno ha più isotopi: in natura infatti esso è presente in grande maggioranza come 1H (formato da un protone ed un elettrone) e in minore quantità da 2H (o deuterio[9], che è formato da un protone, un neutrone ed un elettrone) e 3H (o trizio, estremamente raro, formato da un protone, due neutroni ed un elettrone). Dal punto di vista chimico, idrogeno, deuterio e trizio presentano identiche proprietà, anche se recenti ricerche stanno rivelando una maggiore instabilità del deuterio nei composti.
Proprietà
Massa
Poiché la parte principale della massa di un atomo deriva dai protoni e neutroni, la massa totale di tali particelle in un atomo è chiamato numero di massa. Come unità di massa atomica si usa la dodicesima parte della massa di un atomo di carbonio-12 (12C); tale unità è chiamata Dalton (Da) e vale approssimativamente 1,66 · 10-27 kg.
Dimensione atomica
Gli atomi non hanno un limite ben definito, per questa ragione le dimensioni sono normalmente descritte in termini delle distanze che i nuclei hanno quando due atomi sono uniti in un legame chimico. Per questa ragione il raggio varia con la posizione degli atomi nella tavola periodica degli elementi, il tipo di legame chimico, il numero di atomi vicini (il numero di coordinazione) e persino lo spin. Nella tavola periodica degli elementi la dimensione degli atomi tende ad aumentare quando ci si muove in basso lungo le colonne, mentre diminuisce andando da sinistra a destra. Di conseguenza l’atomo più piccolo è l’elio con un raggio di 32 pm, mentre uno degli elementi più grandi è il cesio con 225 pm di raggio. Queste dimensioni sono migliaia di volte più piccole della lunghezza d’onda della luce (400 – 700 nm) per questa ragione non possono essere visti con un microscopio ottico. Mentre possono essere visti con microscopi elettronici a trasmissione (TEM) o microscopi tunnel a scansione.
Alcuni esempi mostrano la piccola dimensione di un atomo. Il diametro di un tipico capello umano corrisponde a circa un milione di atomi di carbonio in fila. Una goccia d’acqua contiene 2 · 1021 atomi
di ossigeno e 4 · 1021 atomi di idrogeno. Se una mela diventasse della dimensione della terra, gli atomi nella mela sarebbero approssimativamente delle dimensioni della mela originale.