Autolesionismo

L’autolesionismo è un atto che implica il procurare, consciamente o meno, danni rivolti alla propria persona, sia in senso fisico che in senso astratto. Autolesionismo deriva dall’incrocio di due termini, uno di derivazione greca, il prefisso (αυτός=se stesso) ed uno di derivazione latina, il verbo laedere, che ha lo stesso significato del moderno vocabolo italiano: ledere, danneggiare.

Informazioni generali

Esempio di autolesionismo mediante tagli dell’avambraccio

L’autolesionismo o auto-danno intenzionale (il termine tecnico è “Repetitive Self-Harm Syndrome”, sindrome da autolesionismo ripetuto) viene definito come l’intenzionale, diretto ferimento di un tessuto del corpo ma spesso fatto senza intenzioni suicide. L’atto più comune con cui si presenta l’autolesionismo è il taglio superficiale alla pelle ma esso comprende anche il bruciarsi, infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, tirarsi i capelli (tricotillomania) e l’ingerire sostanze tossiche o oggetti.[1][2][3] Di solito però i comportamenti associati all’abuso di sostanze e disturbi alimentari non sono considerati veri e propri atti di autolesionismo poiché il danno ai tessuti che ne risulta sono collaterali e non volontari.[4] Tuttavia possono esserci dei comportamenti non direttamente collegati con l’autolesionismo ma che risultano tali poiché hanno l’intenzione di causare danni diretti ai tessuti. Il suicidio, come già detto prima, non è il fine dell’autolesionismo ma il rapporto tra suicidio e autolesionismo è piuttosto complesso poiché a volte, un comportamento autolesionista, può essere pericoloso per la vita.[5] Vi è comunque un aumento del rischio di suicidio negli individui che praticano l’autolesionismo; infatti se ne trovano segni evidenti nel 40-60% dei suicidi.[6] Bisogna però tenere presente che collegare l’autolesionista con un potenziale suicida è nella maggior parte dei casi inesatto.[7][8]

Durante l’infanzia l’autolesionismo è piuttosto raro anche se dal 1980 i casi sono aumentati.[9] Esso è anche indicato dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR) come un sintomo del disturbo di personalità borderline. Inoltre esso si manifesta anche in soggetti che soffrono di depressione, disturbi d’ansia, abuso di sostanze, disturbo da stress post traumatico, schizofrenia e disturbi alimentari. Autolesionismo è più comune durante l’adolescenza o la tarda adolescenza; di solito appare tra i 12 e 24 anni.[10][11] Ma esso si può verificare a qualunque età[12], anche in soggetti anziani[13]; in questo caso però l’autolesionismo è molto più pericoloso. Il fenomeno non riguardo solo gli esseri umani ma anche animali come uccelli e scimmie.[14][15]

Generalmente si crede che praticare autolesionismo significhi cercare attenzioni. Ma questo non è completamente esatto poiché in molti casi gli autolesionisti sono consapevoli delle loro ferite e cicatrici e ciò provoca un senso di vergogna e di colpa che porta loro a fare di tutto per nascondere i segni con l’abbigliamento (bracciali, polsini ad esempio); cercano inoltre di nascondere le loro ferite a chi gli sta attorno montando scuse e bugie per spiegare i segni evidenti. Com’è già stato suggerito prima il soggetto che pratica l’autolesionismo non lo fa di solito per porre fine alla propria vita; esso spesso è un modo per alleviare un disagio o un dolore emotivo: l’autolesionismo diventa così un modo di comunicare all’esterno il proprio disagio.[16]

Segni e sintomi

Nell’80% dei casi l’autolesionismo si presenta con il tagliare la pelle con un oggetto appuntito[17][18]. Tuttavia i modi con cui può essere effettuato sono limitati solo dall’inventiva dell’individuo e dalla reale intenzione e volontà di danneggiare il proprio corpo; per questo possiamo trovare anche casi di autolesionismo che si presentano con abuso di alcool, droghe, anoressia, bulimia. Di solito i tagli si presentano su aree del corpo che possono essere facilmente nascoste e/o non visibili dagli altri[19]. L’autolesionismo può essere definito in termini di danneggiamento del proprio corpo ma sarebbe più corretto definirlo in termini di scopo per affrontare un problema, un’angoscia emotiva. Né DSM-IV-TR, né l’ICD-10 forniscono dei precisi criteri per diagnosticare l’autolesionismo: si è visto che l’autolesionismo è spesso un sintomo di un disturbo sottostante. Tuttavia recentemente (nel 2010) è stata formalmente mossa la proposta di includere l’autolesionismo come diagnosi distinta nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)[20].

Cause

Disturbi mentali

Anche se di solito chi pratica l’autolesionismo non soffre di disturbi mentali, è stato dimostrato che gli individui che hanno sperimentato problemi di salute mentale sono più portati a praticarlo. Le malattie che più comportano ciò sono disturbo della personalità borderline, disturbo bipolare, depressione, fobie, disturbi comportamentali e anche la schizofrenia. Per quanto riguarda gli schizofrenici (soprattutto nei soggetti giovani) essi hanno un alto rischio di suicidio. Accanto a questi disturbi si trova anche l’abuso di sostanze e spesso anche la tendenza a non saper risolvere i propri problemi e l’impulsività. L’autolesionismo si può manifestare negli individui che soffrono della sindrome di Münchhausen; essi si sottopongono a continui esami e perfino ad indagini invasive[21].

Fattori psicologici

A livello emotivo gli ambienti in cui i genitori puniscono i figli o li feriscono possono generare nella persona una mancanza di fiducia e difficoltà a provare emozioni con il rispettivo aumento dell’autolesionismo[22]. Altri fattori che possono indurre all’autolesionismo sono abusi durante l’infanzia, la guerra e la povertà[23][24]. L’autolesionismo è anche descritto come un processo di depersonalizzazione o uno stato di dissociazione[25]. Il 30% circa degli individui che soffrono di autismo ad un certo punto sfociano nell’autolesionismo ad esempio mordendosi la mano, battendo la testa, grattando la pelle[26][27]. Autori moderni hanno aperto alcuni dibattiti per discutere del fatto che l’autolesionismo può nascondere degli scopi psicologici: è stato dimostrato che alcuni individui usano l’autolesionismo per vivere abusi o traumi passati che non erano sotto il loro controllo. L’autolesionismo, quindi, può essere un modo per riavere il controllo sulla propria vita e riprendere la propria autonomia[28].

Droga ed alcool

L’abuso di sostanze, la dipendenza e l’astinenza sono associati con l’autolesionismo. Dipendenza da benzodiazepine o riduzione delle benzodiazepine si presenta soprattutto nei giovani. Un altro fattore di rischio da non sottovalutare è l’abuso di alcool. Al pronto soccorso dell’Irlanda del nord si è visto come l’alcool è uno dei tanti modi con cui si presenta l’autolesionismo nel 63,8% dei casi. In Inghilterra e Norvegia sono stati fatti alcuni studi per capire l’effettivo legame tra l’assunzione di cannabis e l’autolesionismo; essi hanno evidenziato che nei giovani adolescenti non è un alto fattore di rischio[29].

Fisiopatologia

L’autolesionismo non è un comportamento tipicamente collegato al suicidio anche se molte volte il danneggiamento del corpo può portare alla morte. L’autolesionismo, a volte senza che l’individuo ne sia consapevole, diventa spesso una risposta al lancinante dolore emotivo che non può essere risolto in altri modi. Le ragioni per cui si pratica l’autolesionismo sono varie in quanto esso serve per soddisfare funzioni diverse. Talvolta l’autolesionismo fornisce, a chi lo pratica, temporaneo sollievo da stress, ansia, depressione, senso di fallimento e disgusto per sé stessi. L’autolesionismo diventa, soprattutto nei soggetti vittime di abusi, un modo per controllare il dolore in contrasto con il dolore che si è provato in precedenza[30]. Talvolta però i motivi per cui si pratica l’autolesionismo non hanno niente a che vedere con la medicina come dimostra questo esempio:

« Le mie motivazioni per l’autolesiosmo sono svariate tra cui esaminare l’interno delle mie braccia per le linee idrauliche. Questo può sembrare davvero strano. »

[31]

Lo studio britannico ONS ha trovato solo due motivi per cui si pratica l’autolesionismo: rabbia verso sé stessi e ricerca di attenzioni. Per alcune persone danneggiare sé stessi può essere un modo per ricevere attenzioni dagli altri o di chiedere in modo indiretto aiuto, ma può essere anche un modo per manipolare gli altri. Tuttavia le persone croniche non ricercano attenzioni e perciò nascondono le cicatrici che si sono procurati[32].

Per molte persone l’autolesionismo diventa un modo per “scappare” o dissociarsi, separando la mente dai sentimenti d’angoscia che provano. Ciò si verifica facendo credere alla mente che la sofferenza attuale che si percepisce è causata dall’autolesionismo e non dai problemi reali, preesistenti: il dolore fisico diventa quindi un modo per distrarsi da quello emotivo. Per completare questa teoria si può dire che dietro l’autolesionismo c’è il bisogno di “fermare” il dolore emotivo, una sensazione d’inquietudine o un’agitazione mentale.

“Una persona può essere ipersensibile e sopraffatta; molti pensieri brulicano nella sua mente ed egli può così decidere di fermare questi sentimenti oppressivi.”[33].

Nei soggetti che hanno subito un abuso sessuale possono essere feriti deliberatamente gli organi sessuali come un modo per affrontare i sentimenti indesiderati legati alla sessualità.

Praticare l’autolesionismo può significare farsi del male e nello stesso tempo provare piacere, derivare da esso sollievo. Per alcuni tagliarsi può essere abbastanza problematico ma alla fine decidono di farlo lo stesso proprio perché pensano a quello che possono ottenere dopo. Questo sollievo per alcuni è psicologico; in altri esso è generato da endorfine beta rilasciate nel cervello. Le endorfine sono gli oppioidi endogeni che vengono rilasciate dopo una lesione fisica, agiscono come un antidolorifico naturale, inducono piacere e riducono lo stress emotivo e la tensione. Alcuni autolesionisti dicono di non provare nessun dolore mentre si feriscono; altri, invece, lo usano per provare piacere.

Al contrario per altri farsi del male significa provare qualcosa, anche se la sensazione è dolorosa e per niente piacevole. Queste persone manifestano sensazioni di vuoto e intorpidimento (anedonia) e perciò il dolore fisico può essere un modo per provare sollievo.

Prevenzione

Consapevolezza dell’autolesionismo

Il fiocco arancione, simbolo della giornata della consapevolezza dell’autolesionismo.

Ci sono molti movimenti tra le varie comunità che si occupano di questo problema per sensibilizzare i professionisti e il pubblico in generale. Per esempio ogni 1 di marzo si svolge la giornata globale “Self-injury Awareness Day” (SIAD) per rendere più consapevoli le persone riguardo l’autolesionismo. Molte persone indossano per l’occasione un fiocco arancione simbolo di questa consapevolezza e per incoraggiare gli altri ad essere più aperti riguardo al proprio problema con le persone che li circondano e per aumentare la conoscenza generale[34].

Trattamento

Si è molto incerti su quali trattamenti psicosociali e fisici siano utili per i soggetti che praticano l’autolesionismo; perciò sono necessari ulteriori studi clinici.[35] In queste persone sono comuni disturbi psichiatrici e della personalità; di conseguenza si può supporre che l’autolesionismo sia indotto da depressione e/o altri problemi psicologici. Se l’autolesionismo è indotto da una grave o moderata depressione clinica gli antidepressivi possono essere un’ottima soluzione. La terapia cognitiva-comportamentale può essere utilizzata per i soggetti con problemi di depressione, disturbo bipolare, schizofrenia. Invece la terapia comportamentale-dialettica può essere efficace con individui che soffrono di malattie mentali o che hanno un disturbo della personalità.

Epidemiologia

La mappa mondiale mostra gli anni di vita persi (DALY), per le ferite autoinflitte per 100.000 abitanti nel 2004.[36]

██ nessun dato

██ meno di 80

██ 80–160

██ 160–240

██ 240–320

██ 320–400

██ 400–480

██ 480–560

██ 560–640

██ 640–720

██ 720–800

██ 800–850

██ più di 850

È difficile trovare delle statistiche sicure e precise riguardo l’autolesionismo poiché la maggior parte delle persone tendono a nascondere le proprie ferite e a vergognarsene[37]. I dati si basano sui ricoveri ospedalieri, sugli studi psichiatrici e su alcune indagini sulla popolazione[38]. Circa il 10% dei ricoveri nei reparti di medicina in Inghilterra sono dovuti all’autolesionismo; nella maggior parte dei casi a causa di un eccessivo abuso di sostanze (overdose). Tuttavia gli studi basati solo sui ricoveri ospedalieri potrebbero nascondere il grand numero di adolescenti autolesionisti perché non hanno bisogno e non cercano cure mediche. Infatti molti autolesionisti che si presentano in un ospedale qualsiasi presentano vecchie ferite che non sono state curate[38]. I migliori studi attuali indicano che, i casi di autolesionismo, sono molto diffusi tra i giovani dai 12 ai 24 anni; mentre si sono verificati pochissimi incidenti di autolesionismo tra bambini di età compresa tra i 5 e 7 anni. Nel 2008, Affinity Healthcare ha suggerito che i casi di autolesionismo tra giovani potrebbe essere alto come il 33%[39]. Uno studio americano effettuato tra studenti universitari ha evidenziato che il 9,8% di loro, almeno una volta nella loro vita, ha avuto esperienze autolesioniste come tagli superficiali e bruciature. Quando parlando di autolesionismo ci si riferiva anche al battere la testa contro qualcosa o graffiare sé stessi la percentuale è salita al 32%[40]. Questo dimostra che l’autolesionismo non è proprio di individui affetti da disturbi psichiatrici ma anche tra persone comuni, come giovani studenti.In Irlanda, invece, uno studio ha dimostrato che le persone autolesioniste vivono per lo più in città che in campagna[41]. Inoltre, il CASE (Child & Adolescent Self-harm in Europe) ha evidenziato che il rischio di autolesionismo è 1:7 per le donne e 1:25 per gli uomini[42].

Storia

Il termine automutilazione (self-mutilation) è comparso per la prima volta con gli studi di L.E Emerson nel 1913[43] in cui si evidenzia che l’autolesionismo è una simbolica alternativa alla masturbazione. Il termine ricompare anche nell’articolo nel 1935 e nel libro nel 1938 di Karl Menninger dove egli perfeziona le proprie definizioni concettuali di automutilazione. Il suo studio sull’autodistruzione ha fatto una distinzione tra comportamenti suicidi e di automutilazione. Secondo Menninger l’automutilazione era espressione non letale di un desiderio di morte attenuato e quindi coniò il termine suicidio parziale.Egli individuò sei tipi di mutilazione:

  1. Nevrotico (mangiarsi le unghie, sottoporsi a inutili operazioni chirurgiche, depilazione eccessiva)
  2. Pratiche religiose auto-flagellanti e altre
  3. Riti praticati durante la pubertà (rimozione dell’imene, circoncisione, modificazione del clitorite)
  4. Psicotico (estreme amputuzione, rimozione dell’occhio o dell’orecchio, automutilazione dei genitali)
  5. Malattie organiche del cervello (sbattere la testa continuamente, mordersi la mano, rompersi un dito)
  6. Comuni (rasatura della barba, tagliare capelli o unghie)[44]

Nel 1969 Pao fece una differenziazione tra coloro che tagliano in modo “leggero” (bassa letalità) e coloro che tagliano in modo “grossolano” (alta letalità). Quelli che tagliano in modo attento sono giovani; generalmente producono tagli superficiali e soffrono di personalità borderline. Quelli che invece tagliano in modo meno preciso sono gli anziani e spesso soffrono di problemi psichici.[45] Nel 1979 Ross e McKay divisero le automutilazioni in 9 possibili gruppi: tagli, morsi, abrasioni, recisioni, inserimento di corpi estranei, bruciature, ingestione o inalazione, colpi e costrizioni[46]. Dopo il 1970 l’attenzione circa l’autolesionismo fu spostata dagli impulsi psico-sessuali del paziente scoperti da Freud[47]. Nel 1988 Walsh e Rosen crearono 4 categorie numerate secondo i numeri romani definendo forme di automutilazione le righe II, III, IV [48]

Classificazione Esempio di comportamento Grado di danni fisici Stato psicologico Accettabilità sociale
I Piercing all’orecchio, mangiarsi le unghie, piccoli tatuaggi, chirurgia estetica (non è considerata autolesionismo dalla maggior parte della popolazione) Dal superficiale al lieve Benigno Per lo più accettato
II Piercing, cicatrici da lama, gruppo rituale di cicatrici, tatuaggi gang Da lieve a moderato Da benigno ad allarmante Accettato da civiltà
III Tagli sul polso o corpo, tatuaggi e bruciature da sigaretta, escoriazioni Da lieve a moderato Crisi psicologiche Accettato da alcune etnie e non dalla popolazione generale
IV Autocastrazione, asportazione chirurgica, amputazione Grave Scompenso psichico Inaccettabile

Nel 1993 Favazza e Rosenthal analizzarono centinaia di studi e divisero le automutilazioni in due categorie: automutilazioni stabilite culturalmente e automutilazioni patologiche[49]. Favazza ha anche creato due sotto categorie delle automutilazioni stabilite prima: rituali e pratiche. I rituali sono mutilazioni ripetute di generazione in generazione che riflettono le tradizioni, il simbolismo e le credenze di una società. Le pratiche invece sono storicamente passeggere ed estetiche come il pearcing dei lobi delle orecchie, naso, sopracciglia così come la circoncisione maschile (per i non ebrei) mentre le automutilazioni patologiche sono l’equivalente dell’autolesionismo[50].

Società e cultura

Flagellanti praticano l’autofustigazione ai tempi della peste

L’autolesionismo è conosciuto per esser stato un rituale ripetitivo praticato da culture come quella dell’antica civiltà Maya nella quale i sacerdoti praticavano auto-sacrifici tagliando e perforando i loro corpi in modo tale da prelevare sangue.[51]. Nella Bibbia ebraica si trova un riferimento ai sacerdoti di Baalsi tagliavano con lame fino a che il sangue non scorreva[52] Tuttavia, nel giudaismo, tali pratiche sono proibite dalla legge di Mosè.[53].

L’autolesionismo è anche praticato dai sadhu e dagli asceti indù, nel cattolicesimo come mortificazione della carne, nell’antica Cananea come rituali di lutto e sono descritti nelle tavolette Shamra Ras; e nell’annuale rituale sciita di autoflagellazione, utilizzando catene e spade, che si svolge durante l’Ashura dove la setta sciita piange il martirio di Imam Hussein[54].

Negli altri animali

L’automutilazione negli altri mammiferi è una realtà consolidata, anche se non è un fenomeno largamente conosciuto e il suo studio in zoo e laboratori potrebbe portare a una migliore comprensione dell’autolesionismo negli esseri umani. Gli zoo di allevamento, laboratori e isolazione sono fattori importanti perché conducono a un aumento della suscettibilità e dell’autolesionismo nei mammiferi più grandi ad esempio macachi. I mammiferi più piccoli invece sono soliti a mutilare sé stessi in laboratorio dopo la somministrazione di farmaci. Per esempio pemolina, la clonidina, anfetamine, e dosi molto elevate (tossiche) di caffeina o teofillina sono sostanze note perché inducono l’animale a praticare l’autolesionismo[55][56]. Nei cani, Il disturbo canino ossessivo-compulsivo, può portare all’autolesionismo; per esempio leccare il granuloma. È noto che talvolta gli uccelli in cattività si strappano le piume, causando danni che possono variare dal danneggiamento di alcune di esse alla rimozione di molte o tutte le piume raggiungibili dall’animale, oppure alla mutilazione della pelle o del tessuto muscolare.

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