Il termine polizia è in genere usato per indicare il complesso delle attività istituzionali di gestione delle comunità umane organizzate, derivando il nome e l’origine storica del concetto dallo sviluppo della polis della Grecia antica. In senso storico si tratta dunque di un concetto molto prossimo a quello di governo, inteso come potere esecutivo, gestore dell’autorità conferitagli dalla comunità di riferimento al fine dell’amministrazione della cosa pubblica e spesso in funzione del bene comune. Ed è concetto affine anche a quello della pubblica sicurezza, uno degli elementi costituzionali del contratto sociale ed una delle tematiche che più direttamente legano il concetto originario di polizia con quello moderno.
Nel senso moderno e (attualmente) più diffusamente corrente, si intende infatti per “polizia” un generico corpo istituzionale preposto alla tutela dell’ordine pubblico contro gli attentati che questo potrebbe patire dalla condotta illegale di alcuni individui o da eventi fortuiti, che minerebbero appunto la sicurezza pubblica. Tipicamente una polizia dedica una quota maggioritaria delle proprie attività alla prevenzione ed alla repressione del crimine, ma in genere vi è sempre anche una parallela funzione di pubblico soccorso per situazioni di emergenza.Quasi tutti gli ordinamenti nazionali degli stati moderni prevedono l’istituzione e l’impiego di corpi di polizia, con differenziazioni che tengono conto delle relative specificità culturali (ed eventualmente anche religiose – ad esempio in regimi di teocrazia) e giuridiche. Le polizie sono gli enti precipuamente delegati a ricevere le funzioni di polizia e ad assolvervi.
La funzione di polizia negli ordinamenti occidentali moderni
La funzione di polizia, per come generalmente la si intende in sistemi di cultura occidentale dei tempi nostri, attiene eminentemente alla lotta al crimine, individuale od organizzato. Non è raro, anzi, vedere che del termine “polizia” si abbia anche normativamente un uso squisitamente limitato alle funzioni di tutela del rispetto ordinamentale. La polizia – così individuata – opera di fatto principalmente perché l’ordinamento ottenga il rispetto della collettività interessata attraverso l’osservanza delle leggi preposte a regolamentarne la vita, rispetto che perciò si esplicita tanto nell’induzione ad una condotta comportamentale “corretta” che nella punizione dei comportamenti “scorretti”. In questo applica il complesso delle sue potenzialità operative, al fine di prevenire la commissione e la perpetrazione di atti e fatti costituenti crimine (o comunque turbativa dell’ordine pubblico) ed allo scopo di perseguire gli esecutori di eventuali atti e fatti illeciti. È in questo senso che (almeno nei sistemi di diritto latino) si suole distinguere rispettivamente fra polizia di prevenzione e polizia giudiziaria.
La polizia inglese è stata una delle prime organizzazioni istituzionali di polizia in senso moderno, avendo introdotto un concetto (mai più tramontato) di polizia metropolitana già nel Seicento.
Ma il concetto di polizia così come la intendiamo oggi è databile al 1821, quando in Inghilterra nacque “Scotland Yard” (che prese però tale nome solo nel 1829). Prima di tale data i compiti di polizia erano affidati a dei “retti cittadini” secondo il Codice di Winchester del 1285. Il tradizionale “Bobby” è una delle figure più caratteristiche e note del variegato settore degli operatori di polizia.
La polizia di prevenzione
La prevenzione della perpetrazione di delitti o comunque di illeciti viene in genere svolta attraverso attività di programmazione culturale, lo studio di accorgimenti politico-giuridico-pragmatici che rendano l’eventuale crimine assai difficoltoso da perpetrare oppure scarsamente conveniente, investigazione dei soggetti indiziariamente ritenuti probabilmente propensi a delinquere e loro neutralizzazione possibilmente prima che l’illecito sia commesso o prima che esso possa produrre effetti nocivi.
L’ausilio normativo è uno dei supporti più efficaci, ma anche una delle condizioni necessarie, per l’azione di polizia preventiva; ad esempio, la discussa previsione (comune a molti ordinamenti) di una fattispecie delittuosa come l’associazione per delinquere, che a talune condizioni sancisce l’illiceità del mero progetto di crimine, senza necessariamente attendere che un reato sia commesso per aversi illegalità. È in genere una norma ritenuta di ausilio alle attività di prevenzione poiché consente di prevenire la commissione del reato attraverso la punibilità del suo mero progetto, ed è strumento che assume valore di utilità ordinamentale quando appunto si possa applicarla per impedire il reato attraverso la punizione dell’organizzazione delle fasi preparatorie pratiche dello stesso.
Altrettanto, la norma di molti ordinamenti che prevede l’obbligo ricadente su taluni soggetti (a seconda delle fattispecie ciascun singolo cittadino o solo gli operatori di polizia) di impedire la continuazione dei reati in corso (interrompendone la perpetrazione, se del caso interferendo sull’azione criminosa), ovvero di impedire l’aggravio delle ulteriori possibili conseguenze nocive, è un altro segnale di un’impostazione giuridica per la quale rilevi in senso proficuo per l’ordinamento interessato l’azione preventiva, in quanto preferibile – si deduce – a quella repressiva.
Gli ordinamenti in genere riconoscono infatti – almeno in via formale – valore preferenziale alla prevenzione, non mancando del resto chi abbia rilevato che ciascun successo di polizia giudiziaria in fondo non sia che una dichiarazione espressa di sconfitta del sistema, che non avrebbe saputo impedire che il reato fosse commesso: ogni volta che un reo sia arrestato, e magari condannato, il sistema avrebbe perso – in questa visione – la sua battaglia per garantire alla collettività una vita sociale priva di irregolarità, ciò che ogni contratto sociale parrebbe invece costituzionalmente assicurare. La prevenzione sarebbe, in una simile visione – insieme costituzionalistica e legittimistica – la funzione più propria dell’attività di polizia: lo stato dovrebbe educare i cittadini alla legalità, fruttuosamente ottenendone ottemperanza alle regole ed astinenza dalla soluzione prevaricante.
La polizia giudiziaria
Là dove fallisse l’attività preventiva, si avrebbe perpetrazione di illeciti, ed allora entrerebbe in campo la funzione di repressione, affidata nei paesi di diritto latino agli incaricati delle funzioni di polizia giudiziaria, la quale si fa missione di assicurare i responsabili degli illeciti alla giustizia, poiché la funzione di polizia (esecutiva) in ottemperanza della legge si sottomette alla funzione giudiziaria (amministrativa della giustizia) che a sua volta opera in ottemperanza della legge, la quale identifica infine la funzione regolatrice legislativa, armonizzando la distribuzione delle autorità sociali.
La polizia giudiziaria, valendosi anch’essa di strumenti normativi e di tecniche ed accorgimenti pratici, opera per assicurare all’ordinamento la punizione dei soggetti ritenuti responsabili di illecito, non sottoponendoli a diretto giudizio, bensì rimettendoli alla valutazione delle autorità competenti, che sono le autorità giudiziaria dalle quali estensivamente mutua la sua denominazione.
È però forse questa la polizia più immediatamente a tutti riconoscibile, quella che interviene frapponendo la forza della legge (eventualmente anche supportata da tecnica militare – o equipollente) alla violenza, forza antagonistica, della prevaricazione. È in pratica quella polizia che interviene non appena abbia “notitia criminis” per fare in modo che il crimine non si perfezioni, limitando per quanto possibile la sua esecuzione al mero tentativo, oppure, ove non riuscisse, assicurando che i responsabili ne siano acquisiti alla disponibilità dell’autorità che dovrà giudicarli, sperabilmente in caso di flagranza o (in subordine) a posteriori per effetto tipicamente di azioni di investigazione.
La polizia giudiziaria è in genere, come anche nell’ordinamento italiano, funzione che si traduce in apposite e delicate attribuzioni giuridiche, che conferiscono agli investiti facoltà e potestà speciali, ovviamente non spettanti al cittadino comune. Queste attribuzioni si tengono precisamente distinte dalle attribuzioni di pubblica sicurezza: ad esse si ricollega la previsione dell’articolo 109 della Costituzione italiana, che conferisce all’autorità giudiziaria il potere di disporre “direttamente” della polizia giudiziaria.
Si tratta di una previsione che negli ultimi anni ha rappresentato il crinale di una contrapposizione assai aspra tra Esecutivo e Giudiziario in Italia. In vari casi la magistratura italiana ha fatto valere la subordinazione funzionale della polizia giudiziaria ad essa, in presenza del diverso ed opposto vincolo derivante alla stessa dalla subordinazione gerarchica al Ministro dell’interno: ciò ha prodotto conflitti anche a livello istituzionale, come nel caso della perquisizione di Villa La Certosa e nel caso del processo a Niccolò Pollari per il caso Abu Omar, ma anche nella vicenda del processo a Palermo al generale Mori per la mancata tempestiva perquisizione del covo di Riina.
Le polizie specifiche
Nei sistemi occidentali sono in genere istituite anche altre funzioni di polizia meno note, ma di non minore rilievo per la vita delle comunità di riferimento. Si tratta di funzioni dedicate alla tutela del rispetto ordinamentale per questioni di magari più pratica consistenza, di più minuziosa individuazione e solitamente di minore drammaticità sociale, ciò nonostante di più immediato contatto.
La prima fra queste è la polizia amministrativa, che si occupa di regolamentare aspetti pratici della vita comune in genere incentrati sulla garanzia di rispetto di normazioni burocratiche, tecnologiche, commerciali, e genericamente pratiche, affinché tutta l’opera di regolamentazione legiferata per ordinare azioni più normalmente ascrivibili alla quotidianità possa godere di altrettanto efficace garanzia di correttezza.
Altre funzioni di polizia a competenza speciale sono ad esempio la polizia sanitaria, la polizia urbanistica, la polizia urbana.